Grandi Giardini Italiani Srl

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18 Marzo 2024

Lavinia Taverna

100 anni di una giardiniera senza tempo

Testo di Giusi Galimberti
ph. Dario Fusaro

Questo è un anno speciale per i Giardini della Landriana, luogo poetico e unico che i romani appassionati di natura e botanica conoscono bene, perché questo parco visitabile si trova ad appena 35 chilometri dalla capitale, sul litorale laziale. Nel 2024 ricorrono infatti i 100 anni dalla nascita della sua creatrice, Lavinia Taverna (1924-1997), moglie del marchese Federico Gallarati Scotti dei principi di Molfetta, che insieme a lei comprò quella tenuta, allora abbandonata e brulla, a un'asta nel 1956.
«… Una mattina fredda e ventosa di dicembre, Fede e io entravamo nel Palazzaccio con una valigia piena di biglietti da diecimila lire. Andava all'Asta Giudiziaria un apprezzamento di terreno a Tor San Lorenzo. Ci aveva avvertito la sera prima il curatore. Eravamo stati a vedere la tenuta tanto tempo prima, ma allora i numerosi problemi del fallimento rendevano lontano e improbabile l'acquisto, tanto che non ci pensavamo più…».
A raccontare in prima persona, in modo caldo e quasi romantico, è la marchesa Lavinia nelle pagine del suo libro «Un giardino mediterraneo», edito nel 1982 nella celebre collana L'Ornitorinco di Rizzoli, diretta dal saggista, traduttore e maestro di giardinaggio Ippolito Pizzetti (1926-2007).
Il libro di Lavinia Taverna, rieditato da Pendragon, resta uno dei caposaldi della letteratura botanica, perché ha saputo descrivere come un giardino incolto e con tante problemi, per esempio la vicinanza al mare e i forti venti, possa diventare, grazie a un'immensa passione, uno dei parchi più ammirati d'Italia.

I Giardini della Landriana prendono il nome, reso al femminile, da Landriano, della nobile famiglia milanese dei Taverna. Come si apprende dagli Archivi di Stato, Francesco, gran cancelliere e primo conte di Landriano, seguì importanti missioni diplomatiche sotto la signoria sforzesca e durante il periodo di Carlo V. Nell'immaginario di Lavinia i giardini erano solo quelli storici e importanti del lago di Como, in particolare quello di Bellagio, dove era stata felice da bambina. Con le conifere, che più tardi divennero il suo amore e odio, che allungavano i rami placidi e secolari verso l'acqua.
Le piante, per Lavinia, erano solo quelle enormi che la guardavano, la proteggevano e le facevano ombra nei parchi frequentati con la sua famiglia da ragazza. Nulla che potesse svilupparsi in pochi anni e prendere forma in mezzo al nulla quasi in riva al mare. Così non pensò proprio a un giardino, quando cominciò a frequentare la tenuta.

«Conobbi la marchesa ai Giardini di Ninfa che ero una giovanissima guida e fu lei a spronarmi e a perseguire la mia carriera di botanica e paesaggista», spiega Alessandra Vinciguerra, ora direttrice dei Giardini La Mortella di Ischia e dal 1992 sovrintendente dei Giardini dell'American Academy a Roma, che nei primi anni 2000, dopo la morte di Lavinia Taverna, è stata consulente dei Giardini della Landriana. «Come donna innamorata del giardinaggio aveva grande fiducia nelle donne e ne aveva in me. Alla Landriana si era circondata di molte giovani giardiniere. A loro affidava i compiti più delicati, come quelli in serra: divisione delle piante, piccole potature dei fiori più delicati, le talee. Gli uomini si occupavano dei lavori più impegnativi dal punto di vista fisico».

Ma torniamo proprio a quei primissimi anni dei Giardini.
Tutto ebbe inizio per caso. Alcune bustine di semi di Godezia furono regalate, non so più da chi, al nostro custode che le seminò nell'orto”, racconta ancora la marchesa Lavinia. “Quando in primavera scoppiò la fioritura, mi trovai davanti a qualcosa di talmente rosso, vivo e inatteso, da rimanere affascinata”.
Folgorata da quell'impressione meravigliosa, riscoprì lo stesso amore per i profumi e i prati all'inglese dei giardini di quando era bambina. Così, cominciò a immaginare piante e fiori che non c'erano, cercò di seminarli e piantarli in verità alla rinfusa, solo per il gusto di vederli germogliare, di vedere quelle esplosioni di corolle colorate sempre diverse. “Niente aveva un senso preciso all'inizio. Non immaginava un giardino, ma voleva solo godere di fioriture spettacolari, dare spazio tra le roccaglie a qualche pianta rara. Molti tentativi non avevano successo e andava spesso in crisi: sperimentava, cambiava, in una sorta di caos botanico”, racconta Alessandra Vinciguerra. E scrive infatti Lavinia nel suo libro. “A quei tempi ancora non mi sfiorava il desiderio di vedere le mie piante messe in un ordine bello anche nel suo insieme, avevo sempre troppo da fare per seguire il mio disordine”.
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«Fu il paesaggista inglese Russell Page, che allora frequentava molto l'Italia e che venne consigliato alla marchesa da un caro amico, a dare la svolta nel senso dell'ordine a quei 10 ettari di terreno. La suddivisione in “stanze” fu opera del grande esperto: nacquero la Valle delle Rose antiche, il Giardino degli ulivi e altri spazi, suddivisi con ordine severo, quasi matematico. Le bordure e le piante fungevano da frangivento: delimitare serviva a offrire protezione alle piante. Un passaggio fondamentale dal caos all'ordine. Ma lei non smise mai di sperimentare e di cambiare magari i colori delle stanze. Ne creò anche di nuove, secondo la propria sensibilità. Amava quei luoghi: se non stava in giardino tra i giardinieri, si sedeva a leggere nella biblioteca affacciata al giardino. Soprattutto libri di botanica, che studiava. La sua passione non la portò però lontano. Al contrario di altri botanici, studiava le “piante di casa”, quelle che aveva amato nei giardini del Nord e riscopriva alla Landriana. Non viaggiò molto, mi disse, perché aveva problemi alla vista e si sentiva insicura. Fu un'avventurosa sperimentatrice ma solo nei suoi giardini».
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Dal suo libro scopriamo che non amava il brecciolino, i vialetti di ghiaia “puntuti”, perché creati per separare e allontanare la natura dalla casa. Amava insieme a Russell Page le conifere, perché isolate erano incredibili sculture, ma insieme le odiava, come abbiamo scritto sopra, per la loro natura solitaria. Amava le bordure grigio-argento ma anche i toni pastello e il bianco evanescente e studiava come realizzare angoli sempre più esclusivi. Luoghi che appagano l'occhio e regalano pace. La Landriana è oggi un giardino paesaggistico all'inglese in chiave mediterranea e moderna, seppure alcune stanze restino rigorose, con bordure geometriche all'italiana. Le fioriture si succedono durante tutto l'anno in un'armonia di nuance e spazi.
Lavinia Taverna conosceva infatti infinite specie di piante, di cui racconta aneddoti e carattere, quasi come avessero un'anima. Non le descrive mai in modo freddo, scientifico, ma in una chiave insolita, personale, che ha fatto scuola tra i libri di giardinaggio.
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Dice «… qui vicinissimo, davanti al mio studio, per quindici anni ha vissuto una Mimosa dalle forme strane… Conoscevo ogni rametto di quella pianta. È stata un'amica che ha accolto in silenzio, nel suo verde, i viaggi immaginari della mia fantasia… Un brutto vento l'ha strappata dalla terra e non ho più qui accanto il suo fogliame arioso in continuo fremito, dentro il quale rifugiarmi».
Per spiegare la vita di questa meravigliosa “giardiniera” del Novecento, chiudiamo con una frase di grande umiltà, tipica del suo carattere, che in realtà apre il suo libro: «Il mio giardino è quello che è, non è certo stupendo, ma è un posto vivo, dove si vive con le piante, dove tante cose stanno sempre succedendo e dove, qualche volta, alcune di queste vengono bene e magari alla fine sono anche belle».
Aggiungiamo solo che i Giardini della Landriana sono non belli ma bellissimi, degni di una visita nel centenario di chi, con amore infinito, li ha creati.
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